Durante la vita di tutti i giorni siamo consapevoli del tempo che scorre quando facciamo cose, agiamo, lavoriamo, ma non ci preoccupiamo in realtà mai del tempo di essere, cosi semplicemente.

Ormai parlare di spirito o anima, sembra una moda, ma diamo a queste parole il giusto significato? Le prime volte che ho viaggiato in India, ho avuto una vera e propria folgorazione: l’incontro tra oriente e occidente poteva essere la soluzione alle nostre sofferenze. Materia e spirito insieme. Si, perchè è molto nobile parlare di spirito, ma anche la materia deve avere un posto nella nostra vita. Se moriamo di fame, non riuscaimo certo a meditare e allo stesso tempo se ci ingozziamo di cibo oppure riempiamo le nostre giornate con mille cose da fare, non riusciamo a fermarci e ad essere abbastanza puri per meditare.

Il “non fare” può portarci ad essere più svuotati, più leggeri e quindi pronti a riempire con qualcosa di spirituale, ma il non fare assoluto può tendere verso la rassegnazione e portare anche alla povertà ,che non è amica del cammino che ci è a cuore.

Il “troppo fare”, d’altrocanto, può soffocare il corpo, la mente e l’anima. Ne siamo così prigionieri che non ci rendiamo più nemmeno conto di esserlo e non troviamo alcuna via d’uscita fino ad arrivare in alcuni casi alla malattia.

Come sempre è l’equilibrio la chiave. L’equilibrio tra il fare e il non fare è la via. Riuscire a riportare il tempo dell’essere nelle nostre vite è il fine della meditazione così come la intendiamo.
Dietro l’incontro di noi occidentali con lo yoga e la meditazione orientale, quindi c’è una profonda necessità di ritrovare un significato spirituale, di dare alle nostre vite una dimensione che vada oltre le anguste dimensioni dell’io e oltre quel fare, quell’agire che ci riempie ma alla fine non ci nutre. Kàdambii